IL MAESTRO CHE MI MISE IN CATTEDRA

di Giuliano Urbani

Proprio oggi si ricorda, alla Fiera del Libro di Torino, una nuova edizione di un volume al quale Norberto Bobbio dedicò grande attenzione: il suo Dizionario di Politica, curato con Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino, ma scritto con una moltitudine di specialisti delle varie questioni esaminate.
L'occasione mi ha allora inevitabilmente riportato alla nascita stessa dei miei rapporti accademici, prima, con il maestro e, poi, con un insostituibile amico. Da studente ero stato letteralmente colpito, sulla via di Damasco... del liberalismo, dal suo Politica e cultura, apparso da Einaudi agli inizi degli anni '50. E questo mi spinse a ricercare fortemente una qualche occasione per arrivare a discutere la tesi di laurea di fronte al Prof. Bobbio, filosofo della politica e mallevadore di decine di political scientist. Cosa che poi riuscii felicemente a fare e che mi offrì, prestissimo, addirittura la possibilità di fargli da assistente. Per la verità, tutto durò pochissimo. Perché, proprio agli inizi di quell'anno accademico, dopo le prime lezioni previste dal programma, Bobbio mi offrì la possibilità di «emigrare» a Firenze, per seguire una sorta di super corso promosso da Giovanni Sartori. Il che, anche questo, avvenne poi puntualmente, schiudendomi la porta a una rapida e fortunatissima carriera universitaria. Ma devo fare un passo indietro.
L'opportunità di assistere Bobbio come docente junior, quasi appena laureato, mi era stata offerta dalla felice circostanza che in quell'anno il caro Paolo Farneti, il suo assistente ufficiale di allora, si trovava per ragioni di studio negli Stati Uniti. La fortuna fu quindi di poter supplire Paolo e di poter avere quelle occasioni didattiche che altrimenti non avrei potuto avere.
La circostanza fu sfruttata da me con il massimo di sfrontatezza possibile, che solo da giovani si può avere. Ricordo, come fosse ora, l'espressione di Bobbio quando gli proposi il tema della mia prima lezione: «la previsione nella scienza politica». «Ma allora - mi disse Bobbio - Lei (allora ci davamo ancora del lei, nel più perfetto stile torinese di quei tempi…) ha proprio deciso di partire dal terreno più difficile che esista!». Tralascio di dirne le ragioni, ma tutti coloro che hanno coltivato anche solo occasionalmente qualche scienza sociale sanno bene quanto fosse vero. Eppure Bobbio l'accettò. Mi passò il tema (e il programma) e, venuto il giorno effettivo della lezione, mi lasciò tutto solo «in cattedra», sedendosi umilmente fra i banchi degli studenti. Come finì? Credo bene. Ma, da quel giorno, è certo che non ebbi più sfrontatezze simili e, per gli argomenti delle mie lezioni, tornai naturalmente ai temi classici «da assistente».
Nel suo Dizionario di politica, che oggi viene ripresentato nuovamente al pubblico dopo molte fortunatissime edizioni, Bobbio mi invitò a scrivere due voci che, ancora a tanti anni di distanza, sono state mantenute intatte: «Politica comparata» e «Sistema politico». Erano e sono due voci a carattere teoretico, quindi più di altre resistenti al cambiamento. Eppure, cosa devo dire?
Rispetto all'insegnamento di Bobbio, confermo di sentirmi con lo stesso stato d'animo di allora: un «assistente» premiato dalla sorte e sempre consapevole del fatto che - come ammonisce Eduardo De Filippo - «gli esami non finiscono mai». Il che, oltre ad essere del tutto vero, è sempre molto utile.
Ministro dei Beni Culturali