Nelle democrazie le alternanze al governo in seguito a libere elezioni non devono essere mai vissute come eventi traumatici. Il gioco esige che la parte perdente riconosca la legittimità dei risultati, si inchini di fronte alla volontà popolare, rico nosca il diritto dei vincitori a governare. Guai se non lo fa. Se non lo fa, finisce per aizzare, lo voglia o no, i fanatici e le teste calde della sua parte (ce ne sono sempre, in ogni «parte»), per spaventare l' opinione pubblica, e mettere così a rischio la democrazia. La domanda è: se perderà le elezioni, la sinistra sarà capace di accettare democraticamente la sconfitta? Ricordiamo che nel 1994 non lo fece, disse che Berlusconi era un plagiatore televisivo e un usurpatore e fece uso di tutt i gli strumenti di cui disponeva per arrivare a rovesciarlo. Oggi, tante cose sono diverse. Alla presidenza della Repubblica c' è un nemico degli intrighi eletto con i voti convergenti della sinistra e della destra, in televisione vige il regime dell a par condicio, le campagne di delegittimazione internazionali sono più difficili da mettere in piedi (dopo l' ingresso di Forza Italia nel Partito popolare europeo), Bossi non è facilmente staccabile dal centrodestra e, anche dal fronte giudiziario, nonostante le recenti polemiche, non è probabile che possano ancora partire bordate devastanti. Tuttavia, resta ugualmente lecita la domanda: in caso di vittoria del centrodestra, la sinistra ne riconoscerà la legittimità politica e morale a governa re, oppure sceglierà l' avventurismo, chiamerà il popolo a qualche assurda forma di «nuova resistenza»? Scatenerà la piazza? Andrà alla caccia di tutti i corrispondenti stranieri amici per spingerli a creare un clima d' opinione in Europa contrario a i «nuovi Haider» di Roma? Farà uso dei tantissimi suoi amici e clientes che dal 1996 ad oggi ha piazzato in tutti gli ambienti sottogovernativi per impedire ai vincitori di governare? Detto più brutalmente: la sinistra è sufficientemente democratica da apprezzare la democrazia non solo quando vince lei ma anche quando vincono gli avversari? La liceità del quesito dipende dal fatto che, man mano che ci si avvicina alle elezioni, il clima diventa sempre più brutto. E una sinistra che continua a le ggere sondaggi negativi tende a incupirsi sempre più, a somigliare al personaggio di una celebre battuta, coniata anni fa per fare il verso alla Lega: «Non sono io razzista, è lui che è meridionale». E' vero che Rutelli, il candidato premier del cent rosinistra, sta cercando di mantenere il confronto su un piano civile, ma questo non è vero, stando alle dichiarazioni che si leggono, nel caso di altri esponenti del suo schieramento. Va però detto per equità che certi toni usati dalla maggioranza r appresentano spesso risposte a provocazioni, polemiche sopra le righe e etichettature sbrigative («sono tutti comunisti») in cui il centrodestra, specie di questi tempi, indulge: si veda, da ultimo, la benzina gettata ancora ieri sul fuoco della gius tizia dalle parole di Berlusconi. Per gli uomini del potere, naturalmente, perdere il potere è sempre spiacevole, ma la democrazia è l' unico regime che non trasforma una cosa oggettivamente spiacevole in un dramma: c' è sempre la speranza di rifarsi alle elezioni successive. A patto però di essere stati capaci, nel frattempo, di fare due cose: comportarsi da opposizione «responsabile», e dedicarsi, con la necessaria umiltà, a un serio esame di coscienza per capire che cosa non abbia funzionato, quali errori siano stati commessi, perché gli elettori abbiano premiato gli avversari. Se la sinistra, come al momento appare probabile, perderà le elezioni, sarà capace di fare queste due indispensabili cose? Soprattutto, sarà capace di resistere a lla tentazione di trattare da «fascisti»... gli elettori? Se gli elettori preferiranno il centrodestra, dopo cinque anni di governo di centrosinistra, vorrà dire, lapalissianamente, che questa esperienza di governo non li avrà convinti. Allora, il pr oblema, per la sinistra, sarà quello di capire che cosa non ha funzionato nel «suo» governo, nelle «sue» scelte politiche. Ma vari segnali lasciano intendere che, in caso di sconfitta, la sinistra non si comporterà così. Per esempio, circola il nome di Sergio Cofferati come possibile leader di un partito dei Ds all' opposizione. Cofferati è una persona seria e capace, ma se i diessini lo scegliessero come leader dopo una sconfitta, questo sarebbe il chiaro segnale di una rinuncia: la rinuncia a fare un serio esame delle ragioni della sconfitta. Dal momento che proprio le strenue resistenze di Cofferati e del sindacato (su pensioni, flessibilità del lavoro, spesa pubblica) hanno impedito in questi anni ai governi di centrosinistra di fare po litiche atte a conquistare quei settori di elettorato, per esempio del Nord, il cui consenso sarebbe stato necessario per vincere le imminenti elezioni. Sarebbe un bizzarro modo di rinnovarsi proclamare leader, all' indomani della sconfitta, proprio uno di coloro che tanti, anche nel centrosinistra, indicheranno plausibilmente come un corresponsabile della sconfitta medesima. Il patto democratico esige che chi vince possa governare. Se vincerà il centrodestra è essenziale che esso abbia a dispos izione cinque anni (gli stessi che ha avuto il centrosinistra) per dimostrare che cosa è capace, o non è capace, di fare. Perché ciò accada occorre, fra l' altro, che l' opposizione sia responsabile, attenta a non suscitare nel Paese un clima da guer ra civile; occorre che sappia resistere a certe sirene. Norberto Bobbio, certo l' intellettuale più influente del centrosinistra, sulla Stampa del 2 dicembre, ha usato parole che sembrano pietre. Non si è limitato a manifestare la sua, del tutto legittima, antipatia politica per il centrodestra. Ha fatto molto di più. Ha preteso di squalificare gli avversari sul piano morale. Ma Bobbio è un fine teorico della democrazia e non bisogna certo insegnare proprio a lui che un certo linguaggio h a senso solo in un contesto di guerra civile, quantomeno potenziale. Purtroppo Bobbio ha tradotto in parole pensieri che molti, nel centrosinistra, intellettuali e non, condividono. Persone che continuano - in barba alle «dure repliche della storia», direbbe Bobbio - a credere il falso, a pensare che in Italia una minoranza virtuosa, un' aristocrazia illuminata, la sola ad essere, in quanto tale, legittimata a governare, sia costretta a fronteggiare una masnada di diavoli con relativa corte di d annati al seguito. Di diavoli non mi intendo. Quanto alle minoranze virtuose, alle aristocrazie illuminate, ammesso che siano mai esistite, è certo che non se ne incontrano più, in queste contrade, da molto tempo.