Virtù degli ideali e realtà della politica: esce il «Dialogo intorno alla Repubblica» tra BOBBIO e Viroli

Ssst, il potere ti ascolta

Alberto Papuzzi

Spesso è una lezione: del vecchio filosofo al giovane studioso di scienza della politica. Talvolta è una confessione: dell’intellettuale novantunenne che ripensa momenti della propria vita. Oppure è una meditazione: sui grandi interrogativi destinati a rimanere senza risposta. Ma in molte pagine l’ultimo libro di Norberto Bobbio, frutto di conversazioni con Maurizio Viroli - Dialogo intorno alla Repubblica (Laterza) - ha l’aspetto di un match, in cui si confrontano due generazioni separate da quarant’anni di età e due esperienze molto diverse: da una parte il professore che ha percorso quasi tutto il secolo, dall’altra l’allievo che insegna in una prestigiosa sede americana, l’Università di Princeton. Soprattutto si combattono due modi di intendere la politica e le sue istituzioni: uno realistico, l’altro idealistico.

Il giovane interlocutore prospetta le questioni, interroga e incalza. L’anziano maestro sembra riluttante, in termini pugilistici chiude la guardia. Così all’inizio Viroli avanza il tema della «virtù civile» come nocciolo dell’ideale repubblicano. Dietro ci sono i suoi studi sull’opera di Machiavelli, in particolare i Discorsi, e sulla rivalutazione del repubblicanesimo negli Stati Uniti. Ma Bobbio è scettico: «Nella mia formazione di studioso di politica il republicanesimo e la repubblica non li ho mai incontrati». Sono soltanto la forma di governo opposta alla monarchia, altrimenti rappresentano «uno Stato ideale che non esiste in nessun luogo». Il filosofo teme la retorica: «Si può parlare di politica solo mantenendo uno sguardo freddo sulla storia». Per cui domanda: «Cos’è questa virtù dei cittadini?»

Tuttavia il Dialogo è un vero dialogo. Attraverso il giustapporsi di domande e risposte non solo si esplorano i labirinti di problemi che sono nodi dell’agire politico, bensì si arriva, da una parte e dall’altra, a vedere questi nodi sotto una nuova luce. Fedele a quello che Bobbio, in una pagina di Politica e cultura, dichiarò essere il compito degli intellettuali, il libro non risolve i problemi, cioè non propone certezze. Non mette in circolazione ricette politiche a buon mercato. L’unica ricetta è farsi domande.

Questo significa che Bobbio rinuncia a dire la sua e a prendere posizione sull’attualità italiana, uscendo dalla torre d’avorio dello studioso? Nient’affatto. Solo che le prese di posizione scaturiscono dalla ricognizione dei problemi e in particolare dal confronto tra passato e presente. Così il filosofo, discutendo di demagogia e tirannide, indica i rischi di degenerazione della nostra democrazia. Sollecitato su questioni di ingegneria politica, mette in luce la scarsa rilevanza di una riforma costituzionale in questa fase. Interrogato sulla formazione delle élites democratiche, denuncia l’assenza oggi in Italia d’una classe dirigente «da prendere sul serio». Provocato sul tema dell’intransigenza dello stato, osserva en passant che le colpe dei Savoia non si trasmettono per generazioni: «Il figlio del figlio cosa c’entra?»

Però in Bobbio parla sempre lo scienziato della politica. Il più autorevole studioso italiano di teoria politica. In questo libro, le sue valutazioni non sono i giudizi di chi milita da una parte della barricata, bensì le riflessioni di chi applica la filosofia politica a casi reali. E’ in questa chiave che coglie analogie fra certi comportamenti di Silvio Berlusconi e la figura del tiranno dell’epoca classica (come nel brano del Dialogo che abbiamo pubblicato ieri, in prima pagina). Oppure scorge elementi similari nella nascita di Forza Italia e in quella del Partito fascista, che lo portano a individuare nella formazione uscita vincitrice dalle elezioni «un partito eversivo», che «non si riallaccia affatto alla tradizione liberale». Una constatazione tecnica, sulla base di categorie come la tipologia weberiana del capo.

Infatti il libro va al di là della politica. Parte dalle questioni politiche che riguardano oggi il paese ma le sospinge verso interrogativi generali: le forme della libertà e indipendenza, il rapporto fra diritti e doveri, i segreti del potere occulto, il significato della fede religiosa. Per cui il dialogo, fra il filosofo novantunenne, che ormai vive chiuso nel suo antico studio nel centro di Torino, e lo studioso venuto tenacemente a intervistarlo dall’Università di Princeton, diventa un vademecum per l’uomo contemporaneo.