ESCE IN LINGUA INGLESE IL LIBRO INTERVISTA DI MAURIZIO VIROLI E NORBERTO BOBBIO


La Repubblica come terza via

di Maurizio Viroli

Rinato come tema di studi storici e teorici nelle università inglesi e americane, la teoria politica repubblicana sembra avviata a diventare un punto di riferimento nella lotta politica in Europa. Gli ideali del repubblicanesimo sono infatti un'alternativa ai modelli culturali della destra. Mentre i movimenti e i partiti politici della destra invocano l'idea di libertà come assenza di impedimenti all'agire dell'individuo, i sostenitori del repubblicanesimo proclamano che la vera libertà politica è emancipazione dalle forme di dominio, ovvero l'emancipazione dalla dipendenza dalla volontà arbitraria di altri individui. I primi considerano le leggi una limitazione della libertà; i secondi il suo più necessario fondamento. È sempre difficile fare previsioni sensate sugli eventi politici, ma è possibile che il contrasto fra destra e sinistra diventi nei prossimi anni un contrasto non più fra i sostenitori della libertà e i sostenitori dell'eguaglianza, ma fra i fautori di due concezioni della libertà: da una parte la libertà dalle regole e dalle leggi; dall'altra la libertà come emancipazione dalle forme di dominio. Purtroppo molti dirigenti della sinistra europea di origine socialista o comunista sono ancora molto freddi verso la tradizione repubblicana, e in questo modo si privano della possibilità di rispondere in modo efficace all'iniziativa culturale e politica della destra. Non si accorgono che la tanto cercata terza via fra liberalismo e socialismo è sempre esistita e si chiama repubblicanesimo.

Nel nostro dialogo Bobbio ed io esprimiamo giudizi preoccupati sulla vita politica nelle società democratiche. Il denaro ha un ruolo sempre più fondamentale nel decidere l'esito delle competizioni elettorali. Sono comparsi, ed hanno grande fortuna partiti personali, ovvero, come spiega Bobbio, partiti creati da una persona in contrasto con il partito in senso proprio che consiste per definizione in un'associazione di persone. Né la potenza del denaro, né i partiti personali sono fenomeni nuovi della politica democratica. Ma nel contesto attuale - caratterizzato dal declino delle grandi ideologie, dall'assenza di leaders politici che sappiano suscitare e rafforzare la passione civile, e dalla crisi dei partiti politici come scuole di consapevolezza democratica - tanto la potenza del denaro quanto i partiti personali diventano particolarmente pericolosi. Quando abbiamo scritto il nostro Dialogo non si vedevano all'orizzonte leaders, forze politiche e movimenti capaci in qualche modo di frenare il dominio del denaro e di sconfiggere i partiti personali. Non mi pare che la situazione sia migliorata, per lo meno in Italia.

Ma il pericolo che minaccia le democrazie europee è, ancora una volta, il nazionalismo, l' ideologia che proclama che il fine principale dello Stato è proteggere l'unità della nazione o del popolo dalla contaminazione di elementi culturali o religiosi o etnici ad essa estranei, o dall'assimilazione della cultura nazionale all'interno di altre culture. I leaders nazionalisti, con accenti diversi nei diversi paesi, sono infatti ostili tanto alla trasformazione delle società nazionali in società in cui convivono con uguali diritti civili politici e sociali diverse religioni e diverse culture, quanto al processo di integrazione europea. Contro il pluralismo religioso e culturale invocano politiche di discriminazione; contro l'integrazione europea chiedono il rafforzamento dell'autonomia regionale o locale.

A mio giudizio la risposta intellettualmente e politicamente più efficace al nazionalismo non è il cosmopolitismo che afferma che dobbiamo considerare noi stessi e gli altri quali cittadini del mondo dotati dei medesimi diritti fondamentali e ci insegna che la nostra identità nazionale è un dato accidentale che può avere tutt'al più un piccolo rilievo emotivo, ma deve cedere di fronte ai principi universali che la ragione ci addita. Non è neppure il patriottismo costituzionale che afferma che il nostro patriottismo di cittadini deve essere lealtà alla costituzione democratica e ai suoi principi di libertà e di eguaglianza. È piuttosto il vecchio patriottismo repubblicano che si propone di far crescere nei cittadini il sentimento di lealtà nei confronti della repubblica intesa quale insieme di valori politici e culturali. Come ho cercato di spiegare nel Dialogo, il patriottismo repubblicano non insegna la diffidenza verso le altre culture e non rende neppure sordi alle domande di solidarietà che vengono da altri popoli. Anche in questo caso l'esempio francese aiuta: contro il nazionalismo di Le Pen i francesi non hanno invocato i principi universali del cosmopolitismo e neppure un patriottismo della costituzione. Si sono appellati all'ideale della République, che è certo costituzione, ma è anche una particolare storia e una particolare cultura. Non si sono proclamati cittadini del mondo, ma francesi nel significato migliore del termine in rapporto alla loro storia e alla loro tradizione culturale.

Il problema del nazionalismo solleva il tema della religione. Come il lettore potrà constatare, Bobbio è più incline di quanto io non sia ad apprezzare il valore morale della fede religiosa e a riconoscere che nei secoli l'amore di Dio (non il timore di Dio) ha saputo motivare uomini e donne ad opere di carità nei confronti di chi soffre. Eppure, in alcuni passi che a rileggerli oggi suonano come profezie, Bobbio mette in guardia contro l'immenso potere distruttivo della religione. L'Ottocento, scrive «è stato caratterizzato dall'idea che la religione fosse l'oppio dei popoli. Ci sarà ancora qualcuno che avrà ancora il coraggio di sostenere questo? Non sarà l'oppio dei popoli, ma forse, peggio ancora, la droga dei popoli. La droga uccide, l'oppio addormenta. Guarda che cosa sta succedendo nel conflitto fra palestinesi ed ebrei per colpa degli estremisti religiosi di una parte e dell'altra. Quando si avvicina a una soluzione gli estremisti uccidono. La religione spesso porta al delitto. Il giovinetto che uccise Rabin disse “Dio me lo ha comandato”. Basta questo per far capire che la religione non è l'oppio dei popoli, ma forse è addirittura peggio dell'oppio». Purtroppo gli attacchi terroristici dell'11 settembre e la degenerazione del conflitto fra israeliani e palestinesi dimostrano che Bobbio aveva visto giusto.

Per quanto possa sembrare paradossale ritengo tuttavia che solo una religione possa fermare il fondamentalismo religioso che minaccia le democrazie. Intendo dire che solo una religione civile che rafforzi nei cittadini il sentimento di lealtà nei confronti delle istituzioni democratiche può dare la forza morale necessaria per resistere all'attacco terrorista. La potenza militare, economica e tecnologica non è sufficiente a sconfiggere un nemico che sa dare senso e bellezza al sacrificio della vita, se i cittadini delle democrazie non hanno quella forza interiore per sacrificarsi in difesa della comune libertà che solo una religione civile può dare.