Reset, 23 Novembre 2002
Sta nella carenza di cultura liberale e democratica il limite della sinistra italiana
Di Sebastiano Maffettone
Dal punto di vista della teoria politica, Bobbio è sempre stato un liberale sui generis, come possono esserlo quei liberali che traevano ispirazione da Capitini e Calogero, da "Giustizia e Libertà" e dal Partito d'Azione. Possiamo, come è noto, parlare in proposito di liberal-socialismo, che non è poi cosa troppo diversa da una forma di socialdemocrazia particolarmente preoccupata per il destino della libertà e i diritti individuali. Sicuramente, in quest'enfasi sulla libertà si può riconoscere la traccia di Croce critico del Fascismo... Non mi interessa, però, qui tanto recuperare le origini del liberalsocialismo di Bobbio nella storia italiana tra le due guerre, con la congiunzione-contrapposizione tra liberal-socialisti e socialisti-liberali e la loro specificità come opposizione al Regime diversa da quella di cattolici e comunisti, quanto cercare di rintracciare gli elementi teoretici più importanti al di sotto del paradigma liberal-socialista di Bobbio.
Perché, se il liberalismo istituzionale si può leggere come il riscatto della tradizione liberale nella cultura italiana, ora con Bobbio rivendicava invece con forza l'eredità normale del liberalismo, sarebbe a dire Locke, la tradizione dei diritti umani, il giusnaturalismo, senza al tempo stesso rinnegare mai.... l'eredità del positivismo giuridico alla maniera di Kelsen. Tutto ciò è certo complicato soprattutto per i non addetti ai lavori, e però al fine comprensibile. Ma già se guardiamo al socialismo di Bobbio (vedi Quale socialismo? del 1976), la ricostruzione riflessiva diventa più impervia, e poco resta di certo che non sia un'indubbia opzione socialdemocratica di fondo e una conclamata opzione per l'eguaglianza concepita come guida e imperativo della sinistra, quale si evince anche dalle pagine, chiare quante altre mai in proposito, di Destra e sinistra. Ma come che sia l'endiade di eguaglianza e libertà funziona, se non altro perché si iscrive all'interno di una tradizione ricca e complessa, cui la visione di Bobbio aggiunge il fascino ulteriore di essere più interna alla tradizione italiana.
Lo stesso paradigma, però, diventa difficilmente giustificabile se vi si innesta, come pure Bobbio fa, una vena di realismo conservatore e anti-liberale, che trova le sue fonti nel pensiero non solo di Pareto e Mosca ma anche di Croce, Machiavelli, Hobbes e persino Vico. Questo realismo è conservatore in quanto all'origine vigorosamente anti-illuminista e anti-scientista, permeato sotterraneamente e forse anche inconsapevolmente di quello spiritualismo, che solo in superficie talvolta nega, e che è tipico della ideologia italiana pure per altri versi mai condivisa e anzi combattuta da Bobbio...
I molti e importanti scritti di Bobbio sulla politica internazionale sono una testimonianza evidente dei danni che questo realismo conservatore provoca alla visione emancipativa che dovrebbe essere invece tipica risorsa di una posizione liberale e socialista. Il realismo, infatti, non consente a Bobbio di concepire una teoria della guerra giusta, se non come residuo di una concezione religiosa, e la lotta per la pace non può mai superare il livello dell'utopia spicciola e della buona volontà per essere al contrario congiunta coerentemente con il primato della liberal-democrazia e delle istituzioni che a essa si ispirano (vedi Il problema della guerra e le vie della pace del 1979)...
Gli effetti più generali dell'eclettismo di Bobbio sono diversi se si guarda a quello che la sua opera, data la sua autorevolezza, ha consentito di fare ad altri e quindi alla cultura italiana nel suo complesso, e al suo maggiore lascito come intellettuale pubblico, lascito che io identifico con l'atteggiamento riformista in politica. Se l'eclettismo di fondo della sua posizione teoretica può aver costituito forse un problema per gli esegeti più appassionati della coerenza logica, invece in questo caso ha costituito sicuramente un vantaggio per chi, venendo con lui o dopo di lui, ha voluto sperimentare nuovi percorsi intellettuali e filosofici. In queste occasioni, Bobbio ha svolto una funzione schiettamente filosofica di "Platzanweiser", ha tenuto il posto agli altri cioè e aperto loro la strada. Non c'è stata quasi novità teoretico-politica, affermatisi in Italia dal 1950 a oggi, che non abbia avuto il vantaggio di un previo esame critico di Bobbio. L'apertura e l'intelligenza del nostro autore si misurano anche col fatto che non sempre questi nuovi percorsi, di cui sto parlando, raccoglievano le sue simpatie intellettuali autentiche. Ciononostante, Bobbio ha saputo mantenere un equilibrio permanente, tra impostazioni filosofiche e tesi teoretico-politiche diverse, durante il suo lungo magistero, tale da poter essere considerato senza dubbio una causa di quel pluralismo di indirizzi metodologici e teoretici che caratterizza e rende feconda la filosofia politica italiana del secondo dopoguerra.
Con strumenti analitici sofisticati e diversi, Bobbio da "filosofo militante" ha investigato, in quasi settant'anni di pubblicazioni, temi e problemi fondamentali della cultura politica contemporanea. Tra questi, proprio la natura del rapporto stesso tra politica e cultura può forse essere considerato la cifra più tipica della sua indagine. Da questo punto di vista, Bobbio ci lascia un messaggio su cui riflettere, un messaggio secondo cui il calore della passione politica va necessariamente temperato alla luce di una più fredda sapienza istituzionale. Per essere incapaci di questa evoluzione sono, anche filosoficamente, condannabili l'oscurantismo degli irrazionalisti non meno che il comunismo illiberale, l'utopismo giovanilistico non meno dell'assolutismo al potere.
Non è affatto un caso che la frase forse più amara mai pubblicata da Bobbio, «Non mi nascondo che il bilancio della nostra generazione è stato disastroso. Inseguimmo le "alcinesche seduzioni" della Giustizia e della Libertà: abbiamo realizzato ben poca giustizia e forse stiamo perdendo la libertà», sia stata scritta da lui non pensando a un dittatore ma riflettendo sul caso italiano dopo i moti studenteschi del Sessantotto (in Una filosofia militante del 1970). Questo, da parte di un uomo della sinistra, come indubbiamente Bobbio è, significa una cosa ed una sola: contro ogni massimalismo e spontaneismo, Bobbio ci ha senza dubbio indicato la via del riformismo. Un riformismo che, per carenza di cultura politica liberale e democratica, resta il grande assente della vita pubblica italiana. Un riformismo che, proprio nella sua natura fronetica di fondo, trova il rimedio per affrontare una prassi talvolta recalcitrante ai tentativi dell'intelligenza filosofica. Un riformismo che noi, con l'insostituibile supporto del suo magistero filosofico-politico, siamo invitati a perseguire in un paese troppo spesso riluttante a prendere sul serio l'idea che il progresso sociale è frutto dei diritti e delle regole.
tratto da Reset