Non scrittori resistono

Non scrittori resistono : Einaudi pubblica «Trent'anni di storia della cultura a Torino (1920-1950)», saggio sulle radici dell'antifascismo, ne anticipiamo un capitolo

Nacque in quegli anni nell´immediato dopoguerra la letteratura della Resistenza: una letteratura di non scrittori, del libro unico, diario, cronaca, racconto, taccuino, testimonianza, che sta fra le confessioni e il monito, l´arido documento e lo sfogo, l´imprecazione e l´apologia, il rimpianto e la profezia. Sulla guerra di liberazione in Piemonte, uno dei primi documenti e dei maggiori, i Venti mesi di guerra partigiana nel Cuneese di Dante Livio Bianco, scritto di getto nei primi mesi successivi alla guerra, pubblicato la prima volta nei «Nuovi Quaderni di Giustizia e libertà», quindi, con una prefazione di Franco Venturi, presso la nuova ed effimera casa editrice del partigiano e compagno d´armi Arturo Felici (Panfilo) all´inizio del 1946. L´autore è un giovane avvocato che dopo la «grande vacanza», com´egli chiama i venti mesi della guerra partigiana, combattuta nelle valli del Cuneese, ritorna a fare l´avvocato. L´idea centrale del diario è che la guerra partigiana non è una guerra militare, come tutte le altre, perché è prima di tutto una guerra politica e ideologica. Il giovane avvocato diventato comandante di una banda non cita testi di strategia militare, ma evoca i suoi maestri di antifascismo, Rosselli e Gobetti, e «un gobettiano, tutto intransigenza, tutto rigore morale» lo chiama Nuto Revelli (un altro scrittore nato dalla Resistenza). Una guerra collettiva e anonima senza protagonisti, dominata e illuminata da un´idea morale, da una di quelle idee che permettono, a cose fatte, di dare un senso alla storia, e quindi di parlare sensatamente di grandezza e di decadenza delle nazioni. L´autore si nasconde dietro i fatti nudi e crudi che parlano da soli, e l´unico vocabolo del gergo militaresco che accoglie nel suo linguaggio è lo pseudonimo: «piantagrane». Un piantagrane ma insieme un risvegliatore, due qualità opposte, pur necessarie in tempi straordinari come quelli dei «venti mesi».

Presso lo stesso editore (Panfilo) uscì nello stesso anno (1946) Banditi di Pietro Chiodi, allora professore di filosofia al liceo di Alba: diventato poi professore di filosofia all´università di Torino, sarà noto soprattutto come studioso e traduttore di Heidegger, morto precocemente nel 1970. A tema centrale del libro potrebbe essere assunto il motto «pietà l´è mòrta»: protagonista Leonardo Cocito, professore nello stesso liceo, fucilato a Carignano il 7 settembre 1944. Il giorno della fucilazione, vedendo il cappellano portare le insegne delle SS sulla croce, commenta: «Se vado di là e Dio è in divisa da SS mi metto a fare il partigiano di Satana». Quando Chiodi, scampato, apprende la notizia della morte dell´amico, annota:

«Vorrei piangere ma non posso. Inorridisco di me stesso, ma non posso. Chiudo gli occhi e sento dentro di me che è tutto finito ed io più di tutto. Anch´io sono con loro. Chissà dove. Ora capisco perché non provavo dolore dopo le scene di orrore di Bolzano e davanti a quella donna sul treno. Stavo morendo, a poco a poco. Loro mi uccidevano».

In queste parole è già espresso lapidariamente il tema della distruzione dell´uomo, della disumanizzazione, cui Primo Levi dedicherà pagine destinate a durare nel tempo. Il racconto rapido, secco, essenziale, di Chiodi è una storia di morti, spietata e ammonitrice, e a ogni morte la lotta diventa più aspra, più esasperata. Al comandante repubblichino che nel giorno della resa implora il perdono, Chiodi butta in faccia questo monito:

«O per voi, o per noi non c´è più posto in Italia».

(Il tema di «pietà l´è mòrta».)

Scritto due anni dopo la liberazione per esortazione di Croce il Diario partigiano di Ada Gobetti esce da Einaudi soltanto nel 1956. Ada è la vedova di Piero: negli anni del silenzio vive traducendo dall'inglese e fa dell´appartamento dove aveva abitato col marito un luogo d´incontro di antifascisti durante il regime, di partigiani dopo l´8 settembre 1943. Il diario ha inizio il 13 settembre 1943 e termina il 25 aprile 1945. Qui il tema dominante non è tanto la spietatezza della guerra quanto la fraternità d´idee e d´armi, la solidarietà nel pericolo, l´eccitazione e l´incitamento al fare e allo sperare insieme. Ricco di personaggi che vanno e vengono, sempre affaccendati e sempre un po´ misteriosi, discutono e compiono azioni ardimentose, s´incontrano e si scambiano opinioni sulla guerra e sull´incerto avvenire, il libro pullula di piccoli fatti, di una miriade di piccoli fatti che compongono uno dietro l´altro, uno dentro l´altro, con la loro apparente casualità, un grande disegno. La parte centrale è costituita da una relazione minuta e vivacissima di una missione a Grenoble fra la fine del 1944 e il febbraio 1945. Il libro non è un messaggio e tanto meno una predica; non ha alcun programma da proporre se non quello che bisogna continuare a compiere sino alla fine l'umile e semplice lavoro dell´operaio della buona causa. E´ pervaso dal principio alla fine da un ottimismo sereno, spesso ilare, da una incrollabile fiducia nella vittoria dei giusti. Non ha neppure una conclusione solenne: finita la guerra, cominciano le opere della pace (Ada Gobetti è nominata dal Comitato di liberazione vicesindaco della città) non meno difficili, gravi, assillanti.

Norberto Bobbio

aprile 2002      pagina successiva