Reset, 24 Novembre 2002
Di Luigi Ferrajoli
Di Norberto Bobbio abbiamo sempre ammirato la straordinaria capacità di operare distinzioni: di analizzare i concetti, di chiarire i diversi significati con cui spesso vengono usati, di scomporre, contrapporre e ricomporre i termini, troppe volte equivoci, dei problemi. L'insegnamento bobbiano che qui mi piace ricordare riguarda tuttavia non le distinzioni ma le implicazioni da lui istituite.
Innanzitutto il nesso razionale teorico e pratico da Bobbio costantemente istituito, nella sua opera di filosofo del diritto come in quella di filosofo della politica, tra diritto e democrazia. Bobbio è un giuspositivista e quindi un convinto assertore della separazione tra diritto e morale, tra diritto e giustizia. Il diritto positivo, ci ha insegnato, non implica la giustizia né tanto meno la democrazia, ben potendo, purtroppo, essere sommamente ingiusto, illiberale e antidemocratico.
E tuttavia non vale, secondo Bobbio, la non implicazione inversa. La giustizia, le libertà, o quanto meno quel sistema di principi e valori che chiamiamo "democrazia", implica il diritto. Può ben esserci, ovviamente, diritto senza democrazia, ma non può esserci democrazia senza diritto. Giacché la democrazia è un insieme di regole - le regole del gioco, appunto - e queste regole sono le regole giuridiche: non qualunque regola, ma le regole costituzionali che assicurano il potere della maggioranza e insieme i limiti e i vincoli al potere di maggioranza.
Io credo che questo sia il maggior insegnamento di Norberto Bobbio: importante ieri, allorché l'illusione di una democrazia o di un socialismo senza diritto ha rappresentato una causa non secondaria del fallimento di quella grande speranza del secolo che è stato il socialismo realizzato; ma non meno importante oggi che il disprezzo per la legalità e l'insofferenza per regole e controlli sembrano divenuti il denominatore comune delle odierne ideologie liberiste, che non ammettono limiti ai poteri privati sul mercato e, insieme, delle concezioni correnti della democrazia come onnipotenza della maggioranza.
Il secondo nesso è quello tra diritto e ragione. Se la democrazia è anche una costruzione giuridica, essendo il diritto lo strumento necessario per modellare e garantire le istituzioni democratiche, è vero ancor prima, secondo Bobbio, che il diritto è una costruzione razionale, essendo la ragione lo strumento necessario per progettare ed elaborare il diritto. C'è un passo bellissimo di Bobbio, nella sua Introduzione del 1948 al De Cive di Hobbes, che esprime nella maniera più lucida questo nesso tra diritto e ragione: «la filosofia civile, come la geometria», scrive Bobbio a proposito di Hobbes, «rivolge la propria conoscenza ad un oggetto che noi stessi produciamo». E «in che senso si può dire che noi produciamo l'oggetto della filosofia civile o, con le parole stesse di Hobbes, formiamo lo Stato? Lo Stato, risponde Hobbes, non è per natura ma per convenzione. Appunto perché soddisfa ad un'esigenza elementare dell'uomo sono gli stessi uomini che lo vogliono».
Per questo la teoria bobbiana del diritto, come già la teoria hobbesiana dello Stato, è una "teoria di ragione": perché il diritto non è un'entità naturale, bensì un artificio, frutto della politica e della teoria, ed è come lo interpretiamo e lo difendiamo e, prima ancora, come lo pensiamo, lo progettiamo e lo trasformiamo.
Il terzo nesso è tra ragione e pace. «Gli uomini di Hobbes», scrive ancora Bobbio nella sua Introduzione al De Cive, «sono condotti a fondare lo Stato da un ragionamento: mentre la guerra è il prodotto di un'inclinazione naturale, la pace è un dettame della retta ragione, cioè di quella facoltà che permette all'uomo di ricavare certe conseguenze da certe premesse o di risalire ai principi partendo da certi dati di fatto». Hobbes, aggiunge Bobbio, «non si preoccupa di sapere se gli uomini primitivi siano mai stati capaci di seguire il raziocinio fino ad accordarsi sulla costituzione dello Stato; gli individui a cui parla sono i suoi contemporanei o meglio i suoi concittadini, e lo stato di natura da cui devono uscire è l'aperta lotta religiosa e politica della sua patria, sotto il cui fuoco sta covando la guerra civile. A costoro egli intende spiegare che lo Stato è il prodotto degli uomini stessi, e più precisamente della volontà degli uomini in quanto esseri ragionevoli; o se si vuole della volontà razionale dell'uomo».
Anche Bobbio - nel 1948, tre secoli dopo, all'indomani della guerra più sanguinosa della storia umana - parla ai suoi contemporanei e ai suoi concittadini, pensando alla nuova Italia repubblicana, alla democrazia da costruire, alla pace da difendere e da garantire. E anche Bobbio, a costoro, intende spiegare che il diritto è una costruzione umana e che di esso tutti noi portiamo la responsabilità: come filosofi, come giuristi, come cittadini; e che sono costruzioni umane, essendo costruzioni giuridiche oltre che sociali, anche la democrazia e la pace.
Ma come si costruisce la pace? Si costruisce, risponde Bobbio, mettendo in atto il quarto nesso qui ricordato: cioè garantendo i diritti umani - il diritto alla vita, le libertà fondamentali, i diritti sociali alla sopravvivenza - la cui violazione in tutto il mondo è la causa principale della violenza, delle guerre, del terrorismo. un monito niente affatto utopistico, ma massimamente realistico e oggi più che mai attuale, che Bobbio formula ricordando il preambolo della Dichiarazione universale del 1948, nel quale la tutela dei diritti umani è indicata come «il fondamento della pace nel mondo» e come la sola strada da seguire «se si vuole evitare che l'uomo sia costretto a ricorrere come ultima istanza alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione».
Certamente, afferma Bobbio richiamando Kant, il progresso «non è necessario», ma «soltanto possibile». Ma esso dipende anche dalla nostra fiducia in questa "possibilità" e dal nostro rifiuto di dare per scontate "l'immobilità e la monotona ripetitività della storia". «Rispetto alle grandi aspirazioni dell'uomo» formulate nelle tante carte e dichiarazioni dei diritti, egli scrive, «siamo già troppo in ritardo. Cerchiamo di non accrescerlo con la nostra sfiducia, con la nostra indolenza, col nostro scetticismo. Non abbiamo tempo da perdere. La storia, come sempre, mantiene la sua ambiguità procedendo verso due direzioni opposte: verso la pace o verso la guerra, verso la libertà o verso l'oppressione. La via della pace e della libertà passa certamente attraverso il riconoscimento e la protezione dei diritti dell'uomo... Non mi nascondo che la via è difficile. Ma non ci sono alternative».
Sono questi quattro nessi, a me pare, l'insegnamento più prezioso di Norberto Bobbio. Certamente, di fronte alla crisi che sta attraversando in Italia il nostro stato di diritto, alla crescita esponenziale della disuguaglianza e della miseria nell'odierna «età dei diritti», alle disinvolte minacce di guerra con cui i capi dell'Occidente si illudono di governare il mondo e di esorcizzare la loro inadeguatezza, non possiamo avere nessuna certezza intorno al futuro della pace e della democrazia.
Sappiamo però, grazie anche all'insegnamento di Bobbio, che la pace e la democrazia sono possibili, e che nella loro costruzione non esistono alternative al diritto, ai diritti e alla ragione.