Gran lombardo e illuminista

Sognò l'Italia più civile
intervista a Norberto Bobbio

Nello Ajello

Duecento anni fa, nel 1801, nasceva a Milano Carlo Cattaneo, forse il maggiore pensatore politico del nostro Ottocento, uno dei padri - benché a lungo misconosciuto - del Risorgimento. Per ricordarne la figura e la lezione ci rivolgiamo a Norberto Bobbio, che dell'opera di Cattaneo è da molti decenni uno studioso assiduo. A Cattaneo ha dedicato ampi scritti. Della sua importanza storica è un assertore convinto. Professor Bobbio, a quando risale il suo incontro con Carlo Cattaneo? "Al 1943, un terribile anno di guerra. A propiziare il mio "incontro" con Cattaneo fu il mio vecchio maestro Gioele Solari. Io avevo trentaquattro anni e stavo per sposarmi. Volendo farmi un regalo di nozze, Solari mi offrì di scegliere un libro della sua ricca biblioteca. Optai per l'opera di Cattaneo, edizione Le Monnier, in sette volumi". Una scelta ambiziosa, impegnativa. "Fu un bel regalo, in effetti. E rese possibile una scoperta affascinante. Nelle lunghe serate trascorse in clandestinità, durante l'occupazione tedesca, avrei letto e studiato il grande scrittore lombardo. Ne ricavai un'antologia di scritti che l'editore Loescher avrebbe pubblicato all'indomani della Liberazione con il titolo Stati Uniti d'Italia. Era una raccolta di saggi sulla democrazia, la libertà, il federalismo. Ricordare Cattaneo, riproporne la lettura, aveva allora un senso molto forte. Era un teorico della libertà, dell'antagonismo sociale, della scienza utile. Il suo pensiero, a differenza da quello di Mazzini o di Gioberti, non s'era mai prestato ad alcuna strumentalizzazione da parte dei fascisti". E con Garibaldi, Cattaneo aveva qualche punto di contatto? A proposito del Generale egli scrisse: "La sua camicia rossa è segno di giustizia e di redenzione, come un tempo era la croce di Cristo". Parole come queste possono far pensare a un'analogia fra i due? "Lo escluderei. Garibaldi era un uomo d'azione, un eroe popolare. Cattaneo era un intellettuale appartato, un antieroe. Si comportò con molto valore nelle Cinque giornate di Milano, ma poi ne scrisse all'amico Gustavo Modena in termini riduttivi, quasi a volersene giustificare: "Sappiate che io non avevo mai fatto il politico", rivendicando di aver "sempre atteso a cose più alla mano e più pronte a friggere"". "Più pronte a friggere". Stupenda frase. Nell'apparente modestia - che forse è una sorta d'orgoglio - lascia intravedere l'anima del riformatore attento, paziente, antiretorico. "In effetti, Cattaneo rappresentava l'antitesi dello Stato etico, come di ogni altra metafisica. Sosteneva che lo Stato è - deve essere - un'immensa transazione. Scopo precipuo dell'autorità centrale è mettere d'accordo, tenere uniti uomini, idee, interessi senza però snaturarli". Lei, Bobbio, ha accennato più volte a una certa indifferenza della cultura italiana nei riguardi di Cattaneo. A rimuoverla del tutto, non è servito neppure la pubblicazione dodici anni fa, da parte della Bollati Boringhieri, del Politecnico, la rivista da lui ideata e diretta? "Ho, in generale, l'impressione che gli studiosi più giovani non siano affascinati da Cattaneo. O almeno, non quanto ci si aspetterebbe. E' una generazione che guarda prevalentemente a Nietzsche, ad Heidegger, a Carl Schmitt. Comunque, se Cattaneo fosse nato in Inghilterra, oggi sarebbe senza dubbio un autore molto più letto e studiato. Devo farle una confessione: una quindicina di anni fa, una case editrice inglese mi propose di raccogliere un'antologia di scritti di Cattaneo. Per colpa mia il progetto non si realizzò". Ma parliamo del Politecnico. La rivista esce per breve tempo - la sua prima edizione dura dal 1839 al 1844 - ma fondamentale è lo spirito che la anima. Resta un esempio di illuminismo pragmatico, di scientificità senza sussiego, di generosità avara di retorica. "Cattaneo esprimeva in quelle pagine un'idea centrale: la scienza deve lottare contro la metafisica, contro le "scuole braminiche", per usare una sua definizione. Quella che Cattaneo predilige è una scienza che studia i fatti e da essi trae le proprie conclusioni". Si può dunque considerarlo un positivista? "Lo direi piuttosto un ideologo del progresso. Secondo lui, l'unica scienza degna del nome è quella utile alla società. La sua funzione è di promuovere il benessere, sia liberando l'uomo dai pregiudizi ereditati dalla tradizione religiosa, sia ottenendo risultati funzionali al progresso. Del resto, l'esperienza più alta dell'idea del progresso è nel famoso Abbozzo di Condorcet. Solo con la scienza l'uomo si libera dalle malattie. Solo la scienza gli consente di introdurre riforme economiche tali da accrescere la generale prosperità. Questo è, in sostanza, anche il nucleo del pensiero di Cattaneo". L'opposizione fra società chiusa e società aperta sarebbe dunque già presente in Cattaneo, assai prima che in Popper? "Secondo lui, ciò che maggiormente contribuisce al progresso è l'idea di antitesi. I liberali hanno parlato di conflitto, di concorrenza, Cattaneo usa appunto l'espressione "antitesi" E' proprio l'antitesi - non l'uniformità o la sintesi - il motore dell'umanità. Progrediscono solo quelle società che ammettono il dissenso e la controversia delle idee: cioè le società aperte. Quelle "chiuse "sono invece destinate a spegnersi". In questo, Cattaneo sembra ereditare la concezione che il Settecento ebbe della storia. "Il suo debito verso l'illuminismo è indubbio. L'Europa rappresenta per lui l'apertura verso il mondo: cioè verso lo sviluppo delle scienze. L'Oriente è sinonimo di dispotismo". Le sembra ancora praticabile l'idea che Cattaneo aveva del progresso? "Direi di no. Oggi nessuno più crede acriticamente al progresso, del quale Cattaneo non percepì neppure lontanamente gli aspetti negativi". Come si spiega questa sordità in una natura così acutamente pragmatica come la sua? "L'Italia di Cattaneo non era ancora una società industriale. Non essendosi mai occupato dell'industria, egli non poteva d'altronde prevederne gli inconvenienti, le possibili degenerazioni. I suoi scritti riguardano soprattutto l'agricoltura lombarda. Nella sua opera non figura uno dei grandi temi ottocenteschi, quello della condizione operaia, punto di partenza dell'analisi di Marx e di Engels". Per lei, in sostanza, la nozione di progresso è scaduta. "Occorre distinguere. Esiste certamente un progresso nel capire, nella conoscenza scientifica. Nella tecnologia esso è immenso, strabiliante, sempre più rapido. Ecco, se c'è un progresso evidente e irreversibile, com'è irreversibile il tempo, questo è il progresso tecnico. Appare però inaccettabile, oggi, che esista un rapporto necessario fra il progresso scientifico e quello morale. Nell'Ottocento si pensava - differenza non da poco - che fra i due momenti ci fosse un nesso inscindibile, automatico; e che il progresso scientifico avrebbe reso migliore l'umanità. Ciò è chiarissimo in Condorcet, come pure lo è in Marx, nei positivisti e naturalmente in Cattaneo". In che cosa consiste, alla fine, il lascito più importante di Cattaneo? "Non credo che vada cercato nella soluzione che egli dà ai singoli problemi, quanto nel modo di affrontarli, nel metodo che egli adotta. Il quale è antimetafisico, antispiritualistico, avverso ad ogni forma d'irrazionalismo. Direi che questo metodo si è anche riversato nel suo stile. Non basta dire che lo stile di Cattaneo è chiaro. A volte gli scienziati usano una prosa chiara, ma piatta. Scrivono male. Lui è chiaro, incisivo e sintetico. Ciò ne fa uno dei grandi scrittori dell'Ottocento". L'unico tentativo di far rivivere, almeno nel nome, l'esperienza editoriale di Cattaneo è quello di Elio Vittorini che nel 1945 diede vita a una rivista intitolata appunto Il Politecnico. "Non vedo molti nessi fra le due iniziative. Nella sua rivista Cattaneo faceva scrivere economisti, ingegneri, medici. Il periodico di Vittorini mi pare piuttosto un organo di battaglia letteraria e politica". Un'impresa editoriale come quella di Cattaneo sarebbe impensabile - con tutti i necessari aggiornamenti - ai nostri tempi? "Decisamente. Oggi c'è una divisione del lavoro scientifico così capillare da sottrarre ogni senso a una rivista come quella. Non so nemmeno se sia desiderabile ipotizzarne la nascita. Occorrerebbe una persona con la capacità di sintesi di Carlo Cattaneo. Ma dov'è uno così?".