Il filosofo e i comunisti

intervista a Norberto Bobbio

Franco Manni

Dal numero del "Diario" in edicola oggi anticipiamo parte dell'intervista a Norberto Bobbio. In una sua intervista recentemente pubblicata da la Repubblica (25 gennaio 2001), lei sembra equiparare il nazismo e il comunismo, e il giornale cattolico L'Avvenire l'ha commentata scrivendo «l'anziano filosofo cambia idea sul comunismo».
«Anche Marco Revelli mi ha contestato l'equiparazione nazismocomunismo. Certamente c'è una differenza importante tra i due movimenti: magari usavano gli stessi mezzi atroci e disumani, ma mentre nel nazismo erano ugualmente condannabili sia i mezzi sia i fini, invece nel comunismo lo erano i mezzi non i fini, spesso nobili (liberazione dall'oppressione dei rapporti di lavoro, pari dignità sociale dei cittadini). In quell'intervista che mi ha citato, inoltre, non è venuto fuori bene il mio pensiero su Marx. Lì sembra risultare che Marx, come teorico, sia responsabile di tutto quanto - soprattutto sul piano pratico - è avvenuto in seguito. In realtà io non lo penso né in generale riguardo al rapporto tra teoria e pratica, né riguardo al caso specifico di Marx. Ciò che soprattutto volevo fare in quell'intervista era una sorta di "esame di coscienza", e dire che noi liberaldemocratici avevamo fatto un'alleanza tattica col comunismo, pur non condividendo né la sua ideologia né gran parte delle sue linee politiche».
Un'altra differenza significativa è che lei non ha mai avuto rapporti amichevoli con esponenti, non dico nazisti, ma neanche fascisti. Non è così?
«Certamente non ho avuto rapporti amichevoli con alcun gerarca del Pnf (Partito nazionale fascista). Invece durante gli anni universitari frequentavo amici come Vittorio Foa. Lui faceva il «giovane di studio» presso un avvocato quando è stato arrestato dai fascisti nel 1935, e anche io ero considerato "inviso". Ma Vittorio era un vero e proprio militante ed è stato in prigione fino al 1943». (...)
Lei ha avuto rapporti di dialogo e anche di amicizia con alcuni comunisti...
«Sì, su questo non c'è dubbio! Ho avuto polemiche coi comunisti, ma polemiche con persone con le quali era possibile dialogare. Con alcuni comunisti, poi, come Napolitano, Aldo Tortorella, Gian Carlo Pajetta e Pietro Ingrao ho avuto anche rapporti di stima reciproca e di amicizia vera e propria. Anche per questo, in diverse occasioni, sono stato accusato di "filocomunismo", proprio per aver accettato il dialogo con loro. Mi sono comportato in maniera diversa da Edgardo Sogno che, dopo aver combattuto i fascisti, finita la guerra si mise con lo stesso ardore a combattere i comunisti, che per lui erano la stessa cosa. (...) Io però non mi riconoscevo in una posizione del genere. Ho sempre detto e scritto che coi comunisti (parlo dei comunisti italiani) occorreva la persuasione e non la forza».
Parafrasando Benedetto Croce, le chiedo: cosa è vivo e cosa è morto del comunismo?
«Quando accadde in Cina quel fatto che suscitò orrore quasi dovunque, e cioè l'uso delle armi per fermare gli studenti che a piazza Tienanmen manifestavano il loro dissenso dal governo comunista cinese, io scrissi su La Stampa un articolo in cui dicevo che il comunismo era una "utopia capovolta", perché era un'utopia di liberazione degli esseri umani che si era capovolta nel suo contrario, e cioè nella costrizione e nell'oppressione degli esseri umani. Però, in quello stesso articolo, scrivevo anche che i motivi per i quali il comunismo era nato sono ancora vivi. (...) Sono in grado le democrazie che governano i Paesi più ricchi del mondo di risolvere i problemi che il comunismo non è riuscito a risolvere? Questo è il problema. Il comunismo storico è fallito, non discuto. Ma i problemi restano, proprio quegli stessi problemi che l'utopia comunista aveva additato e ritenuto fossero risolvibili. Questa è la ragione per cui è da stolti rallegrarsi della sconfitta e fregandosi le mani dalla contentezza dire: "L'avevamo sempre detto!". O illusi, credete proprio che la fine del comunismo storico (insisto sullo «storico») abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia? La democrazia ha vinto la sfida del comunismo storico, ammettiamolo. Ma con quali mezzi e con quali ideali si dispone ad affrontare gli stessi problemi da cui era nata la sfida comunista? Quell'articolo mi valse poi un'aspra critica da parte di Ernesto Galli della Loggia». (...)
Dunque, per questa parte della questione, e cioè per il contributo dato anche dal comunismo alla riduzione delle ingiustizie sociali, mi sembra che lei non si definirebbe «anticomunista»...
«Certamente, anzi affermo, ripetendomi, di non essere mai stato comunista, ma anche di non essere mai stato anticomunista, nel senso in cui l'anticomunismo è inteso oggidì. E dico che le lotte per una maggiore eguaglianza sociale contro le ingiustizie così drammaticamente presenti nel mondo - lotte fatte non solo ma anche dai comunisti - sono state sacrosante».