Pierluigi Battista
Racchiudere in una formula onnicomprensiva l’intera produzione intellettuale di Norberto Bobbio sarebbe impresa vana, oltreché di dubbia utilità. E del resto non è a questo scopo che è stata organizzata a Roma, presso la sala conferenze della Fondazione Basso, una «Giornata di studi dedicata all’opera di Norberto Bobbio» nata dall’esigenza di discutere la pubblicazione einaudiana della Teoria generale della politica curata da Michelangelo Bovero e con la collaborazione del Centro Studi di Scienze Politiche «Paolo Farneti» di Torino. La sterminata produzione saggistica di Bobbio, insieme alla sua presenza nei momenti chiave del dibattito politico e culturale dell’Italia repubblicana, indicano piuttosto il segno lasciato da un intellettuale il cui nome, ha sostenuto nel corso del seminario Giacomo Marramao, si può legittimamente includere nella quaterna di «studiosi novecenteschi di filosofia politica in senso stretto e che comprende, oltre a Bobbio, Leo Strauss, Hannah Arendt e John Rawls».
Del resto, la complessità di Bobbio è riflessa anche nella molteplicità di temi affrontati nel corso del seminario romano, dalla questione della definzione della democrazia a quella del rapporto tra pace e guerra (affrontata da Luigi Bonanate), dall’idea bobbiana di «realismo politico» su cui si è soffermato Bovero ai temi più specifici della filosofia politica (Marramao), fino al delicato rapporto tra l’elaborazione di Norberto Bobbio e la questione del comunismo, di cui ha parlato Marco Revelli. Tra l’altro, la relazione di Revelli suonava come implicita e indiretta risposta a un’intervista che Bobbio ha concesso a Franco Manni per il Diario in cui il filosofo torinese ha specificato la sua idea sulla comparabilità di nazismo e comunismo: «anche Marco Revelli mi ha contestato l’equiparazione nazismo-comunismo». Ma, ha specificato Bobbio, «ciò che soprattutto volevo fare in quell’intervista (concessa a Giancarlo Bosetti, ndr) era una sorta di esame di coscienza, e dire che noi liberaldemocratici avevamo fatto un’alleanza tattica col comunismo, pur non condividendo né la sua ideologia né gran parte delle sue linee politiche».
Un pensiero complesso, appunto, se solo si pensa alle feroci polemiche che a cavallo degli anni Quaranta e Cinquanta Bobbio ha sostenuto con Palmiro Togliatti proprio sul tema cruciale della democrazia. E del resto, lo stesso Bovero ha speso una parte della sua relazione a illustrare e passare in rassegna le principali teorie sul «realismo politico» specificando che in Bobbio la nozione di realismo politico non è riducibile all’accezione solitamente negativa che di questa definzione si dà ma si apre alla necessità storica degli «ideali», non in conflitto con la realtà come avviene nelle costruzioni ideologiche e utopistiche, ma come sostegno e orientamento nell’agire politico. Anche se, come ha ricordato Marramao, Bobbio ha costretto la sinistra, all’incirca a metà degli anni Settanta, a rivedere la sua «antropologia ottimistica» e a sostituirla con una «pessimistica» ricordando un dibattito in cui Bobbio, rivolgendosi a un esponente della sinistra che discettava infervorato di «sol dell’avvenire», lo fulminò osservando che forse si stava confondendo e che invece della luce del sol dell’avvenire occorreva vedere «il bagliore di un’incendio». Presumibilmente un incendio distruttivo e nient’affatto beneaugurante. Una delle tante lezioni impartite da Bobbio. E non soltanto alla sinistra.